lunedì 9 marzo 2009
Michele Reina
È la sera del 9 marzo del 1979. Sono da poco passate le 22,30 quando scatta l'agguato contro Michele Reina, segretario provinciale della DC a Palermo. L'uomo politico ha da poco lasciato la casa di un amico dove ha trascorso la serata e sta' salendo in auto, dove lo attendono la moglie e due amici. I sicari si avvicinano e, da distanza ravvicinata gli sparano contro tre colpi secchi di calibro 38, dandosi subito dopo alla fuga, a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima; la targa applicata sull'auto risulterà più tardi appartenere ad una Fiat 128, anch'essa rubata intorno alle 19 del giorno stesso del delitto.
Appena un'ora dopo, l'omicidio viene rivendicato con una telefonata anonima al centralino del "Giornale di Sicilia": "Abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina" dice la voce che "firma" l'agguato a nome di "Prima linea", in quel periodo uno dei gruppi armati più attivi del terrorismo rosso. L'indomani mattina, una seconda telefonata giunge al centralino del quotidiano palermitano della sera "L'Ora". Il telefonista dice di parlare a nome delle "Brigate Rosse", minaccia altri attentati e afferma: "Faremo una strage se non sarà scarcerato il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio".
Una pista, quella terroristica, che però agli investigatori appare subito inverosimile e che viene ritenuta con più probabilità una mossa di Cosa nostra per sviare le indagini.
L'omicidio di Reina avviene all'indomani di un accordo politico che il segretario provinciale della DC, aveva portato a termine con il Partito Comunista. Un accordo che, però, non aveva riscosso l'entusiasmo e l'approvazione di grande parte suo partito; la maggioranza, anzi, si era subito manifestata contraria.
Il 22 aprile del 1992, a Palermo, si apre il processo per i cosiddetti "omicidi politici": tra questi, anche quello di Michele Reina. Nell'aprile del 1999, dopo i primi due gradi di giudizio, il processo è approdato in Cassazione, dove sono state confermate sia l'impianto accusatorio che le pene irrogate. Con Salvatore Riina, sono stati condannati al carcere a vita Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci.
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